Preliminarmente va segnalato che al richiedente protezione internazionale al momento della richiesta sia rilasciato un permesso di soggiorno che “consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda” (art. 22 c. 1 D.Lgs. 142/2015). Pertanto, la possibilità di lavorare decorre da 60 giorni successivi alla richiesta di protezione, non dal riconoscimento del diritto. Per quanto riguarda il diritto all’iscrizione ai centri per l’impiego, è stato necessario un chiarimento.
La norma vigente sui Centri per l’impiego è il D.Lgs. 150/2015 che all’articolo 11 comma 1, lett. c) prevede che la “disponibilità dei servizi e misure di politica attiva del lavoro” sia riservata “a tutti i residenti sul territorio italiano”.
Come noto, il requisito di residenza per i richiedenti asilo è stato problematico e ci sono stati diversi interventi di natura restrittiva volti a comprimere questo diritto e più di recente di giurisprudenza (un riepilogo aggiornato della vicenda in merito qui).
Sembrava che il DLgs 150/2015 subordinasse l’accesso ai cpi al requisito della residenza; ciò ha portato l’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro a precisare che (qui la nota) che “in definitiva, il requisito della residenza, previsto dall’articolo 11 del D.Lgs. 150/2015, necessario al fine di accedere ai servizi e alle misure di politica attiva, può essere equiparato, per i titolari/richiedenti protezione internazionale, alla dimora abituale”. Tale interpretazione, nota Anpal, appare conforme al DLgs 142/2015, laddove prevede che il permesso di soggiorno per richiedenti asilo “consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda. A fortiori, dovrà essere consentito l’accesso ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro erogati dai CPI”.
Non ho trovato riferimenti diretti, ma è plausibile (direi persino pacifico) che quanto vale per i richiedenti asilo valga anche per gli Ucraini presenti in Italia con permesso di soggiorno temporaneo con validità limitata al 3 marzo del 2023 attivato secondo la direttiva 2001/55/CE.
C’è però un aspetto che riguarda il collocamento mirato sul quale ritengo sia necessario fare un approfondimento. La Legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” prevede all’articolo 18, comma 2 tra le disposizioni transitorie e finali che “in attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro” di alcune categorie di persone, tra cui “i coniugi, gli orfani superstiti di coloro che siano deceduti per causa di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell’aggravarsi dell’invalidità per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro” che sia attribuita loro una quota di riserva.
Tale riserva è attribuita nella misura di un punto percentuale e determinata secondo la disciplina di cui all’articolo 3, della L. 68. In altre parole, la legge 68/99 prevede che le aziende e i soggetti pubblici con più di 50 dipendenti, oltre ad avere un obbligo di assunzione di persone con disabilità dalle liste di cui all’articolo 8 della Legge, sono sottoposti ad un ulteriore obbligo di assunzione di tali soggetti.
L’elenco di soggetti che hanno il diritto di entrare nelle liste di cui all’articolo 18 è stato più volte rimaneggiato. A chi si occupa di immigrazione e di protezione internazionale potrebbero interessare le due categorie che dicevo prima (orfani e vedovi di grandi invalidi e caduti di guerra) e la condizione di care leavers, che è stata introdotta solo nel 2021 come categoria di collocamento mirato. In base a tale norma (articolo 67 bis del D.L. n. 34/2020) “la quota di riserva di cui all’articolo 18, comma 2, della legge 12 marzo 1999, n. 68, è attribuita anche in favore di coloro che, al compimento della maggiore età, vivono fuori della famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria”.
Esistono anche delle linee guida che appaiono francamente troppo restrittive sul riconoscimento di questo diritto ai care leavers e le trovate nella circolare del MLPS del 25.01.2021
Mi interessa rilevare qui che un adolescente giunto in Italia come minore straniero non accompagnato che fosse assegnato con un provvedimento dell’autorità giudiziaria ad una comunità o in affidamento familiare, una volta compiuto il diciottesimo anno di età permanendo in quella condizione acquisisce a determinate condizioni definite nella circolare del gennaio 2021 il requisito di iscrizione nel collocamento mirato ex articolo 18.
Fin qui quello che può capire un operatore sociale che opera nel collocamento mirato. Da qui in poi ciò su cui chiedo conforto a coloro che si occupano delle materie di immigrazione e assistenza e previdenza.
Per quello che posso capire se un richiedente asilo può lavorare e può essere iscritto al centro per l’impiego dovrebbe poter essere iscritto anche alle liste del mirato ex articolo 18 per tutto il periodo di tempo in cui può lavorare (ossia per tutta la durata della permanenza legale in Italia). L’altra questione che resta da comprendere sono le modalità per il riconoscimento del diritto: come si fa a certificare che sei figlio di un deceduto per guerra in Ucraina?
Ho per esempio visto che alcuni soggetti per esempio, le Acli hanno fatto delle proposte per affrontare la problematiche sociali e assistenziali che si aprono con la crisi umanitaria della guerra in Ucraina. Le Acli prevedono di stipulare “una convenzione di sicurezza sociale fra Italia e Ucraina per permettere la totalizzazione dei contributi italiani con quelli del Paese di provenienza”. Forse un analogo strumento è ipotizzabile per certificare le morti per guerra e le invalidità relative. Tra l’altro segnalo che non sono in grado di dire se esista una definizione di caduti di guerra, e se siano caduti di guerra (come sarei portato a ritenere) sia i caduti civili che militari, e tra i “militari” sia i militari che sono arruolati nell’esercito che moltissimi civili arruolati con normative di emergenza. Insomma, ci sono tanti interrogativi che vedo sul tavolo ma li consegno a chi è maggiormente in grado di occuparsi delle materie dell’immigrazione / dei diritti sociali e previdenziali chiamate in causa.