assistenza all'autonomia e alla comunicazione

Mettere mano al profilo dell’assistenza all’autonomia e alla comunicazione è una cosa buona. Ma non fate (altri) pasticci

Avevo posto il problema del profilo degli operatori dei servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione nel momento in cui esaminavo il ddl Bucalo, su cui pesavano a mio avviso molti problemi (per esempio, questo articolo sui costi proibitivi della stabilizzazione e questo articolo sulle modalità con cui veniva ipotizzata la stabilizzazione). Uno dei problemi del ddl Bucalo, in particolare, era che introduceva la stabilizzazione senza porre il problema del profilo, che invece è un problema essenziale per la qualità dei servizi e l’efficienza del sistema. Per esempio, quando si parla di assistenza all’autonomia, si parla di una attività di assistenza educativa o materiale? Come si integra l’assistenza all’autonomia nel complesso delle attività scolastiche di istruzione e assistenza materiale che spettano a collaboratori scolastici e insegnanti? Quali competenze questi operatori devono avere? Ritenevo che trattare della stabilizzazione del personale senza aver prima sciolto questi nodi sarebbe risultato un pasticcio.

A quanto pare, si son convinti dell’importanza di mettere mano al profilo anche dalle parti di Palazzo Madama. I provvedimenti sul profilo di assistente all’autonomia depositati al Senato sono due:

Nelle sedute della commissione del 15 luglio e del 31 luglio il Ddl Bucalo AS.236 è andato in trattazione congiunta con uno di questi due provvedimenti (quello del sanatore Marti) e in quella occasione è stato richiesto l’abbinamento con l’altro ddl (D’Elia) presentato l’anno precedente..

In primo luogo sia il Ddl 793 che il Ddl 1141 concordano che il profilo dell’assistente all’autonomia sia un profilo educativo e non materiale. Per il ddl 1141 questo professionista è

“un professionista socio-educativo che svolge funzioni di mediazione e assistenza alla comunicazione, favorisce l’apprendimento e l’integrazione scolastica e promuove la relazione tra lo studente con disabilità sensoriale, la scuola, la famiglia e i servizi territoriali specialistici, allo scopo di favorirne l’autonomia e l’inclusione.

Ddl 1141 Mart, art. 1.

Questa definizione appare molto simile a quella che il legislatore ha introdotto nella Legge 55 del 2024, che definisce i contenuti professionali dell’educatore professionale socio-pedagogico, che viene definito come un professionista che opera nei servizi socio-educativi, con persone in condizione di difficoltà o in condizione di disagio e che ivi progetta, valuta e mette in ambito servizi educativi.

Il Ddl 1141 a prima firma Marti non definisce le attività che sarebbero in capo alla neoistituita figura dell’assistente, e anzi, in maniera anomala, scioglie il problema delle attività che svolge questo professionista demandando alla contrattazione collettiva una materia che è palesemente una materia dell’attore pubblico in quanto prevede che “I contratti collettivi nazionali definiscono la declaratoria dei profili professionali dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione, comprensiva di specifiche e contenuti professionali, il trattamento economico fondamentale e accessorio e ogni istituto contrattuale”

Il ddl D’Elia definisce dal canto suo in maniera molto più precisa le attività dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione.

a) supporta l’attività didattico-educativa interna finalizzata all’inclusione in aula e nel gruppo classe dell’alunno con disabilità, prevenendo le situazioni di isolamento;
b) supporta le attività finalizzate allo sviluppo dell’autonomia personale e sociale, puntando a stimolare l’autosufficienza;
c) favorisce la mediazione nelle comu­nicazioni verbali e non verbali;
d) contribuisce al raggiungimento di un rapporto equilibrato nell’ambiente scolastico

e) vigila e accompagna l’alunno con di­sabilità durante l’attività scolastica;

f) è di ausilio per l’alimentazione e du­rante la condivisione del pasto come espe­rienza di integrazione e di autonomia;
g) facilita l’inserimento sul piano so­ciale durante gli accompagnamenti ai servizi educativi e scolastici promossi e realizzati dall’istituzione scolastica per lo svolgimento di attività ludiche, laboratoriali, culturali e sportive previste dal Piano educativo indivi­dualizzato;
h) favorisce l’autonomia riguardante la conquista dello spazio circostante, curando anche le iniziative attivate dall’istituzione scolastica in rete con le strutture ricreative, culturali e scolastiche, nonché con la comu­nità territoriale;
i) partecipa alle attività di programma­zione e di verifica con gli insegnanti curri­culari, individualmente o riuniti negli organi collegiali, con i referenti delle strutture sa­nitarie o dei centri convenzionati con il Ser­ vizio sanitario nazionale e con i servizi ter­ritoriali che hanno in carico l’alunno con di­sabilità;
l) partecipa alla stesura del Piano edu­cativo individualizzato, contribuendo se­condo le proprie competenze all’individua­ zione delle potenzialità, degli obiettivi, delle strategie, delle metodologie nonché dei mo­menti di verifica;
m) cura la predisposizione dei materiali didattici ed educativi necessari per l’espleta­ mento della mansione, la programmazione
delle attività e la progettazione dei percorsi di continuità educativa.

Nel complesso, l’articolazione del Ddl 793 D’Elia appare molto ben articolata, per quanto andrebbe comunque ritoccata (ad esempio, è anomala la sottolineatura dell’assistente come di un operatore che “vigila” sul ragazzo). Ad ogni modo, , nel complesso le attività che il Ddl a prima filma del senatore del Partito democratico sembrano essere a contenuto educativo e anche in questo caso sovrapponibili con quanto l’articolo 3 della Legge 55 del 2024 dice in merito alla figura professionale dell’educatore professionale socio-pedagogico. In aggiunta questo secondo ddl prevede la formazione in servizio e la definizione di un numero di ore di attività non frontali da prevedere nella contrattazione collettiva.

Si può dire che i due ddl potrebbero integrarsi tra di loro, in quanto l’uno definisce la figura come socio-educativa e l’altro ne definisce le attività concrete. In un probabile a questo punto testo unificato potrebbero essere integrate le due parti.

Per quanto riguarda i requisiti di accesso, così come sono, non sono applicabili quelli di entrambi i disegni di legge perchè entrambi i disegni di legge non sono aggiornati alla normativa successiva all’entrata in vihore della Legge 55.

Con una differenza. Il Ddl D’Elia fa riferimento alle qualifiche professionali di educatore professionale socio-pedagogico e di educatore professionale socio-sanitario. Questa previsione andrebbe aggiornata alla normativa introdotta dalla Legge 55 con gli albi; bisognerebbe pertanto prevedere che per esercitare la professione di asisstente fosse prevista l’iscrizione nel/nei relativi albi.

La definizione del Ddl Marti è decisamente più pasticciata. Essa prevede che l’accesso alla professione sia consentito con le lauree L19 (scienze dell’educzione)), Snt/2 (laurea nella classe delle professioni sanitarie della riabilitazione e L24 (scienze psicologiche), oltre a consentire l’accesso alla professione a coloro che siano in possesso delle qualifiche di educatore professionale socio-pedagogico e di educatore professionale socio-sanitario.Entrambi prevedono delle sanatorie per servizio (potrebbero continuare ad esercitare la professione coloro che hanno esercitato la professione per 24 mesi (ddl Marti) o 36 mesi (Ddl D’Elia).

Cosa non funziona in questa articolazione dei titoli?

In primo luogo, come si accennava prima, in entrambi i casi la definizione dei requisiti di accesso alla professione non è aggiornata alla legge che introduce la professione ordinistica. Dall’entrata in vigore della Legge 55 del 2024 non ha senso distinguere ai fini delle professioni educative la laurea L19 (abilitante) dal requisito professionale di iscrizione nell’albo degli educatori professionali socio-pedagogici. Peraltro, prevedere l’accesso alla professione con laurea (e non con l’iscrizione in albo) significherebbe produrre una indebita differenza tra coloro che sono in possesso di laurea L19 e sono iscritti in albo e coloro che sono in possesso di laurea e non sono iscritti in albo in quanto, non tutti coloro che sono iscritti in albo potrebbero accedere alla professione di assistente, perché potrebbero solo coloro che hanno la laurea o la qualifica.

Analogamente, definire la laurea Snt/2 come requisito di accesso, oltre a produrre una indebita distinzione tra educatori professionali socio-sanitari e con laurea ed educatori professionali socio-sanitari senza laurea sanitaria e in elenco speciale Peraltro, la laurea snt/2 prevede un misero numero di crediti formativi dedicati a materie pedagogiche, e in assenza di una ridefinizione delle relative tabelle ministeriali, non si capisce come possa aversi un professionista che viene definito educatore in cui la formazione pedagogica è così esigua. Inoltre, per come è scritto il testo del disegno di legge, requisito di accesso alla professione non è la laurea in educazione professionale sanitaria, ma una delle molte laureee Snt/2 (fisioterapia, oftalmologia, logpedia, terapista occupazionale, ecc).

Il mistero più grande è però costituito dalla presenza tra le laurea di accesso alla professione di assistente all’autonomia nel ddl Marti la laurea in psicologia L24. Se si concorda che la professione di assistente debba essere ricondotta ad ambiti educativa, davvero non ci si spiega la presenza della Laurea triennale L24 tra le lauree che danno accesso alla professione di assistente. Ancora una volta si fa confusione tra la formazione educativa e la formazione psicologica.

Una volta stabilito che la professione di assistente è una professione educativa la scelta naturale è di ricondurre le funzioni di assistenza all’autonomia e alla comunicazione alla iscrizione al relativo albo professionale. Se si seguisse la strada tracciata dal ddl Marti si avrebbe una professione ibrida alla quale accedono per tre quarti laureati in scienze dell’educazione abilitati per legge alla professione di educatore professionale socio-pedagogico e per un quarto laureati in psicologia e laureati Snt/2 in professioni sanitarie. Separare in questo modo la professione di assistente da quella di educatore professionale socio-pedagogico produrrebbe solo svantaggi sul piano sistemico. La medesima cooperativa non potrebbe utilizzare in un servizio estivo o pomeridiano gli assistenti che utilizza la mattina a scuola, ad esclusione dei laureati in scienze dell’educazione che potrebbero accedere all’albo. Si avrebbe una categoria di asisstenti all’autonomia divisa in due emiprofessioni. Da un lato i laureati L19, che avrebbero molte possibilità (tutte quelle offerte dall’albo) e dall’altra i laureati L24 che non avrebbero altre possibilità ad esclusione dell’accesso alla professione di assistente.

Mettere mano al profilo è una cosa sacrosanta. Ma se dovete fare altri casini lasciate tutto cosi come è.

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