Il 4 dicembre in piazza Vidoni si è vista plasticamente una trasformazione dei pedagogisti e degli educatori italiani che si è consumata negli ultimi 15 anni; un processo che ci vede radicamente trasformati al suo esito. Quello che è accaduto il 4 dicembre è qualcosa di più di una manifestazione, Il 4 dicembre è nata una categoria, che assume un ruolo sociale e si fa soggetto politico.
Non è un fatto scontato, ed è un fatto nuovo per noi. Quanto all’inizio degli anni 2000 mi iscrissi a scienza dell’educazione una delle cose che più mi lasciamo stupito quando mi introducevo ad un percorso universitario di scienze dell’educazione era la bassissima consapevolezza diffusa da parte degli studenti su dove si trovassero e su quale ruolo sociale stessero andando a ricoprire. La medesima ignoranza era presente tra i docenti universitari. Ma quello che più mi stupì nell’affacciarmi al mondo della professione era che lo stesso mondo dei professionisti viveva di questa mancanza di identità. Mi apparve, quindi, subito evidente come non era possibile ottenere un riconoscimento normativo della professione senza essere professione, senza essere corpo sociale. Il 4 dicembre, in piazza, abbiamo fotografato insieme quanta strada abbiamo fatto nel frattempo.
In primo luogo eravano tutti, tutte le generazioni coinvolte. Eravamo studenti universitari, persone neolaureate che non lavorando ancora, persone che lavorano, pedagogisti ed educatori in servizio, pedagogisti ed educatori in pensione.
Quando ho cominciato la mia azione di rappresentanza politico – professionale la strada per mobilitare le persone era coinvolgere gli studenti e la loro voglia di protagonismo. Oggi l’Apei – ma, credo, tutto il mondo della pedagogia professionale – è una associazione di studenti e professionisti. E in piazza, il 4 dicembre, c’erano principalmente professionisti: persone di 30, 40, 50, 60 anni che chiedevano con forza l’approvazione della legge al Senato.
Questa trasversalità non è scontata. È difficilissimo muovere chi lavora: In un giorno feriale, molti di noi hanno dovuto chiedere una giornata di permesso per spostarsi da Napoli, Milano, Verona, Lecce, Bari, Taranto, Modena.
Certo, la motivazione forte ha aggregato, ma è riuscita ad essere aggregante in virtù di una coscienza di ceto sociale che si è andata generando in questi anni.
In secondo luogo era presente tutto il mondo della rappresentanza di categoria. Nessuna delle sigle del mondo della pedagogia professionale che meriti nota era assente. In più c’erano gli studenti – per di più con un momento ad hoc organizzato con loro e per loro presso Roma Tre – e c’erano i docenti universitari. Non è scontato, di per sé non è sufficiente neanche una pdl – pur importante come la Iori – per smuovere le persone e per attivare il processo popolare che abbiamo visto nella categoria in quei giorni.
In terzo luogo, eravamo presenti con – in piazza – dei rappresentanti istituzionali. Non mi pare secondario che fossero presenti in piazza una deputata (Santerini) e una senatrice (Blundo), una della maggioranza e una dell’opposizione; che l’onorevole Iori ci seguisse con simpatia a distanza e che un secondo deputato (Arturo Scotto) ci abbia invitato ad andarlo a trovare quella mattina stessa alla Camera
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Cogliere i segni dei tempi, leggere il cambiamento che sta avvenendo nella nostra categoria è sicuramente il compito che abbiamo in questo momento.
Il 4 dicembre abbiamo scoperto che da 4 sfigati su Facebook si può fare il salto. Da sfigati all’essere, percepirsi ed essere percepiti ceto sociale. Questo non ce lo toglieranno, in qualunque modo possa andare l’iter della proposta di legge in commissione.