Da professionista rimprovero alľaccademia di non aver fornito alla pedagogia professionale gli strumenti concettuali per esplicare la sua potenza di cambiamento al servizio delle persone e della società. Alle associazioni di pedagogisti rimprovero ancora di piú: di aver lasciato passare decenni a vendere costosissimi percorsi di formazione post laurea senza porsi il problema che tale formazione producesse esperienze di libera professione.
Chi vive la realtà e la guarda con onesta intellettuale non ha problemi ad ammettere che gli studi privati sono veramente pochi in Italia, mentre decine di migliaia sono i pedagogisti formati con specializzazioni post lauream. Come può essere accaduto che se ne siano accorti tutti – e noi da un decennio lo denunciamo tramite Pedagogistionline e Apei – tranne coloro che tenevano corsi di formazione? Evidentemente erano così impegnati a spiegare cosa è il pedagogista (con mille aggettivazioni accanto, of course) da dimenticarsi di spiegare come si fa il pedagogista.
Ora, la pedagogia è una diciplina strana. E’, si, una scienza. Ma è anche una tecnica. Ossia, la riflessione e la ricerca hanno un ambito applicativo immediato. E poi è una disciplina normativa, non descrittiva. La pedagogia indica la strada all’uomo, non descrive l’uomo come è.
Insomma, venuta meno la gamba applicativa è venuta meno anche la considerazione sociale, e la stessa occupabilità dei pedagogisti. Ma c’è stato un secondo effetto. Anche la riflessione e la ricerca, la “scienza” non ce la ha fatta a reggere da sola. Se hai una sola gamba che fai? Ti devi appoggiare. Ecco, la pedagogia come riflessione teorica si è appoggiata, ha acquisito contenuti, metodi e principi che provenivano da altre discipline… con il risultato di diventare un cocktail senz’anima.
A chi interessa un cocktail di psicologia se si può andare dallo psicologo? Nessuno andrebbe a valle, dove l’acqua è sporca, meglio andare direttamente alla fonte. In questo processo di riduzionismo della pedagogia, il riduzionismo linguistico ha avuto un peso molto rilevante.
Per questo motivo, oggi vi parlo di come si è andato a perdere il linguaggio pedagogico. Il perchè lo vedremo in un altro videopost.
Buona visione (i commenti sono, come sempre, bene accetti. Le condivisioni e i “mi piace” su Facebook pure).
Copio e incollo il commento della Collega Elena Ravazzolo sul mio profilo Facebook. Guardando il video del Collega Gianvincenzo Nicodemo non si può non condividere l'attenta analisi che mette in luce il disconoscimento sociale alla pedagogia e alle figure professionali ad essa collegate, partendo dall'abbandono del linguaggio specifico della pedagogigia, a favore di un luiguaggio più alla moda ma decisamente improprio.
La Pedagogia ha un linguaggio proprio, lo si può attingere dalla sua storia e dalle effettive applicazioni, quando parliamo di apprendimento, di educazione, di automatismi, di relazione, di pensieri, di comportamento. La psicologia ha contribuito a definire meglio alcuni passaggi che riguardano l'apprendimento, il comportamento e ottenendo uno spazio politico e concettuale allargato e' riuscita ad imporre il proprio linguaggio. Credo che noi pedagogisti, sto parlando di professionisti che non si lasciano relegare in un piccolo angolo (perché hanno maturato consapevolezza del proprio agire terapeutico e conoscenze complete che tengono conto delle varie componenti della crescita dell'essere umano), possiamo senza timore adottare il nostro linguaggio e continuare a proporre un servizio verso la persona terapeuticamente efficace adottando i vari modelli a disposizione, costruttivista, cognitivo, sistemico, gestaltico, esistenziale.
Noi Pedagogisti dobbiamo essere gradi ai contributi della psicologia. Abbiamo l'opportunità di proporre alla persona servizi utili alla crescita, continuando a fare perno sull'apprendimento, sugli automatismi, sull'educazione come processo di crescita e cambiamento, sulla relazione, secondo i modelli che conosciamo: costruttivista,comportamentista, sistemico, gestaltico, esistenzialista..
Probabilmente e' necessario avere più fiducia nell'efficacia dei lavori verso il processo educativo della persona e della società. Cerchiamo di essere preparati e compatti. Grazie per gli stimoli e per l'impegno.
Ciao, Antonella, grazie del commento. Condivido: non è sbagliato utilizzare contributi scientifici, da ovunque vengano. Quello che io contesto è l'appiattimento su linguaggi e antropologie che non sono le nostre.
In definitiva hai ragione tu, è tutto un problema di acquisizione di consapevolezza.
Gianvincenzo