Aggiungi didascalia |
In questo videoblog ho piu’ volte posto il problema della medicalizzazione dei bambini, soprattutto rispetto alle diagnosi di tipo psichiatrico e al conseguente uso degli psicofarmaci a scopo terapeutico.
Oggi vi posto una intervista, a cura della giornalista Tonia Ferraro, che ringrazio, su questo tema. L’intervista è stata pubblicata sul periodico “Il mediano” (www.ilmediano.it).
____________________________________________________
Il mondo della pedagogia si confronta con la proposta di legge regionale che prevede l’istituzione di dipartimenti di neuropsichiatria infantile. Ai nostri taccuini Gianvincenzo Nicodemo, vicepresidente dell’Apei.
L’Apei (www.apei.it) (Associazione Pedagogisti e Educatori Italiana), è impegnata dal 2007 nella difesa della pedagogia e dei suoi professionisti. Oggi l’Apei, presieduta da Alessandro Prisciandaro, lavora alla diffusione della cultura pedagogica e degli studi di consulenza come alternativa alla medicalizzazione, soprattutto nell’infanzia. I pedagogisti ed educatori, infatti, riscontrano con sempre maggiore frequenza che il disagio di bambini e adolescenti viene trattato con psicofarmaci invece che preso in carico con modalità e personale educativo. La tendenza italiana segue quella largamente diffusa negli U.S.A., dove sono milioni i bambini con diagnosi psichiatriche che vengono medicalizzati, con pesanti danni alla loro salute.
Da qualche settimana, giace in Consiglio Regionale della Campania, in esame alla V Commissione, una proposta di legge, presentata dagli onorevoli Pica, Esposito, D’Amelio, Schiano di Visconti e Sommese, per l’istituzione di dipartimenti di neuropsichiatria infantile presso le ASL. Gianvincenzo Nicodemo, vice presidente Apei, ha fatto richiesta di audizione presso la V commissione per rappresentare una pesante critica all’impianto dell’articolato e per contribuire a disegnare una alternativa sociale al trattamento sanitario e farmacologico di bambini e adolescenti. Abbiamo incontrato Nicodemo per fare il punto della situazione.
«Noi dell’Apei aderiamo alla campagna nazionale “Giù le mani dai bambini”, che si oppone alla medicalizzazione dei bambini fino in fase adolescenziale. In genere, infatti, si guarda ai bambini con qualche tipo di difficoltà come soggetti patologici; si diagnostica un disturbo e molto spesso si ricorre all’utilizzo di psicofarmaci, anche in maniera massiccia. Uno dei casi più frequenti è quello della cosiddetta “sindrome dell’attenzione”, l’ADHD: il 99% dei soggetti affetti dalla sindrome ADHD sono trattati con metilfenidato, il che comporta tutta una serie di problemi. La mia preoccupazione è che quest’eccesso di medicalizzazione aumenti esponenzialmente. Succede che, se un bambino dà fastidio in classe, la scuola lo segnala al Servizio Sanitario, mettendo in moto un determinato meccanismo che trasforma automaticamente il bambino in paziente psichiatrico, che, una volta etichettato, finisce con l’acquisire la convinzione di essere malato.
Ora, il trattamento con psicofarmaci può portare a gravi conseguenze, perfino al suicidio. La Food & Drug Administration americana, infatti, ha imposto di apporre dei black box sulle confezioni di antidepressivi per uso pediatrico per avvertire degli effetti collaterali. Non bisogna, dunque, prescrivere medicinali con leggerezza: la prima istanza dev’essere di prevenzione, da un lato, e d’intervento educativo dall’altra. Durante l’età evolutiva, agire sconsideratamente può “creare” un adulto malato».
Come si può prevenire L’ADHD?
«Il disagio nell’infanzia e nell’adolescenza si può prevenire attraverso interventi di tipo pedagogico e psicopedagogico. Come associazione, facciamo formazione per i pedagogisti, proprio per dare loro una serie di strumenti per trattare questi problemi. Bisognerebbe istituire un tutoraggio, dove il pedagogista possa prendere in carico una famiglia, affiancando il bambino ed entrando nelle loro pratiche relazionali; solo in questo modo si può prevenire efficacemente la sindrome, ancor prima che si manifestino comportamenti. Il problema è economico, perché lo Stato dovrebbe investire molti soldi su un unico operatore che si dedica per almeno venti ore alla settimana ad un solo caso».
«Il disagio nell’infanzia e nell’adolescenza si può prevenire attraverso interventi di tipo pedagogico e psicopedagogico. Come associazione, facciamo formazione per i pedagogisti, proprio per dare loro una serie di strumenti per trattare questi problemi. Bisognerebbe istituire un tutoraggio, dove il pedagogista possa prendere in carico una famiglia, affiancando il bambino ed entrando nelle loro pratiche relazionali; solo in questo modo si può prevenire efficacemente la sindrome, ancor prima che si manifestino comportamenti. Il problema è economico, perché lo Stato dovrebbe investire molti soldi su un unico operatore che si dedica per almeno venti ore alla settimana ad un solo caso».
La scuola come si pone in questi casi?
«Nella scuola, come nella società, la lettura psicologica e psichiatrica di taluni comportamenti tende a dare una diagnosi e ad “incasellare” dentro un determinato disturbo, a definirlo. Il percorso della psicopedagogia, invece, cerca di individuare quali sono i problemi che determinano il comportamento ed intervenire sulle specifiche situazioni. Penso che la scuola sia, in parte, succube di quello che è un problema sociale, vuoi perché i docenti non sono formati per affrontare queste problematiche, vuoi perché è più semplice ed immediato rivolgersi al Servizio Sanitario, piuttosto che all’esperienza del pedagogista.
«Nella scuola, come nella società, la lettura psicologica e psichiatrica di taluni comportamenti tende a dare una diagnosi e ad “incasellare” dentro un determinato disturbo, a definirlo. Il percorso della psicopedagogia, invece, cerca di individuare quali sono i problemi che determinano il comportamento ed intervenire sulle specifiche situazioni. Penso che la scuola sia, in parte, succube di quello che è un problema sociale, vuoi perché i docenti non sono formati per affrontare queste problematiche, vuoi perché è più semplice ed immediato rivolgersi al Servizio Sanitario, piuttosto che all’esperienza del pedagogista.
Comunque, gli insegnanti operano in un settore dove le risorse vengono continuamente diminuite, con le conseguenti possibilità d’intervento, per cui si sentono anche demotivati. Per queste ragioni si passa ad affidare il ragazzino che dà fastidio in classe al Servizio Sanitario. Quello che preoccupa molto noi professionisti del settore pedagogico è la proposta di legge che vuole istituire unità di psichiatria infantile; di per sé, non sarebbero cosa negativa, ma il rischio è che una struttura specifica dell’Asl lo faccia solo con modalità ordinaria, ovvero ricorrendo subito all’uso di psicofarmaci».
Qual è l’approccio di questa legge?
«Le premesse della legge sono buone: istituire un intervento integrato, che tenga conto del contesto relazionale e familiare del soggetto, ma, essendo gli interventi svolti all’interno di una struttura sanitaria, è naturale che la cura sia accompagnata da psicofarmaci, con un approccio articolato che si distacca dalla premessa. Cioè, è come se la proposta di legge si mostri consapevole dei problemi ma non sia disposta ad intervenire in modo idoneo. L’aspetto preventivo del disturbo psichiatrico viene citato soltanto e non basta definire come modalità operative protocolli di intesa o integrazione operativa con gli enti locali, titolari della responsabilità delle politiche sociali sul territorio. Ribadiamo, dunque, che l’ADHD debba essere trattata con strumenti esclusivamente pedagogici, altrimenti si finirà per tendere sempre più alla medicalizzazione che potrà trasformare il ragazzino in un adulto che, poi, diventerà un peso sociale. L’errore di fondo, secondo l’Apei, è che questo disegno possa permettere di psichiatrizzare i soggetti con troppa facilità».
«Le premesse della legge sono buone: istituire un intervento integrato, che tenga conto del contesto relazionale e familiare del soggetto, ma, essendo gli interventi svolti all’interno di una struttura sanitaria, è naturale che la cura sia accompagnata da psicofarmaci, con un approccio articolato che si distacca dalla premessa. Cioè, è come se la proposta di legge si mostri consapevole dei problemi ma non sia disposta ad intervenire in modo idoneo. L’aspetto preventivo del disturbo psichiatrico viene citato soltanto e non basta definire come modalità operative protocolli di intesa o integrazione operativa con gli enti locali, titolari della responsabilità delle politiche sociali sul territorio. Ribadiamo, dunque, che l’ADHD debba essere trattata con strumenti esclusivamente pedagogici, altrimenti si finirà per tendere sempre più alla medicalizzazione che potrà trasformare il ragazzino in un adulto che, poi, diventerà un peso sociale. L’errore di fondo, secondo l’Apei, è che questo disegno possa permettere di psichiatrizzare i soggetti con troppa facilità».