Apprendo dalla stampa di un provvedimento che l’Università di Padova avrebbe approvato con il quale vieta ai propri professori e ricercatori di svolgere alcun tipo di insegnamento presso le università telematiche. Sono vietati persino gli incarichi gratuiti. Lo motiva (onestamente, devo dire), sulla base di argomentazioni di una presunta concorrenza sleale da parte delle università telematiche rispetto alle università tradizionali, che a quanto pare non hanno ancora avuto il tempo di adeguare i propri organici alla impressionante crescita degli ultimi anni.
Si tratta di un provvedimento che mi ha profondamente colpito. Mi chiedo se tra l’altro sia legittimo fondare un procedimento amministrativo di questo tipo sulla base di provvedimenti anticoncorrenziali, da parte di un’università finanziata dalle tasse di tutti i cittadini. Ma non mi avventuro in argomentazioni di ordine legale sullo Statuto dell’Università di Padova e sulle delibere del suo Senato Accademico.
Ci sono due cose mi colpiscono in questo provvedimento, e nel dibattito su università tradizionali e università telematiche che ogni tanto riemerge poderosamente agli onori della cronaca.
La prima ha anche fare con la mia storia personale. Come molti di voi sanno, negli anni recenti ho frequentato un dottorato di ricerca presso un’Università telematica, e ho avuto occasione di avvicinarmi a questo mondo. Ho curriculum professionale di tutto rispetto e anche un numero di pubblicazioni che di solito non hanno coloro che si candidano al dottorato. Nel momento in cui ho fatto domanda in tre università statali non ho riscontrato una valutazione sul merito, quanto piuttosto ho avuto percepito criteri di appartenenza. Criteri che – nella mia esperienza – non ho riscontrato nella telematica dove sto frequentando il dottorato di ricerca. Dove, peraltro ho trovato una formazione alla ricerca di assoluta qualità, supervisionato da una docente donna, giovane (per quanto può essere giovane un associato) e di estremo valore accademico e di ricerca. Gli scarsi banno alle telematiche? Nella mia esperienza è il contrario.
Aldilà degli aspetti personali, quello che mi stupisce maggiormente è che coloro da cui dovresti aspettarti una visione qualificata dei fenomeni sociali, che dovrebbe saper interpretare il presente e aiutare i policy makers a governare il futuro, si comportino come probabilmente l’uomo di Neaderthal si comportava con l’homo sapiens. Cercava di togliergli il cibo, di lanciargli addosso le pietre. Il dato però, è che di uomini di Neanderthal non ne vedi più per la strada, perché si sono estinti.
Ora, il mondo è cambiato e sta cambiando da decenni, e la pandemia ha accelerato drasticamente questa evoluzione verso l’online nell’esperienza quotidiana delle persone. L’online non esiste più da un decennio come qualcosa di autonomo, ma è parte di un onlife che integra online e vita fisica.
La ricerca stessa si giova di questa trasformazione in modo prepotente. La quota teorica della attività di ricerca si basa sulla analisi di materiali che vengono elaborati in altre parti del mondo, e i lavori vengono inviati attraverso piattaforme telematiche ad un processo di peer review condotto da ricercatori che Dio solo sa dove si trovano e che a loro volta non sanno chi sono e dove vive l’autore del lavoro che stanno verificando. Tutto telematico.
Il mondo è cambiato e le università telematiche non hanno determinato questo cambiamento: hanno solo saputo coglierlo prima delle altre. Nei cambiamenti puoi decidere di comportarti da Neanderthal o da Sapiens, demonizzare il futuro che si vede nel presente o rappresentarlo.
Ora, le persone più illuminate (sarò stupido io, ho sempre supposto che dovresti trovarle dentro l’università) dovrebbero porsi il problema di governare i cambiamenti: dovrebbero avvalersi degli strumenti che gli fornisce la modernità per adattare ciò che hanno sempre fatto, per farlo in modo nuovo. Piuttosto che fargli la guerra, dovrebbero porsi il problema di promuovere loro stessi didattica telematica, se gli studenti la preferiscono in maniera così prepotente come dice la rettrice, invece di ghettizzarsi nel loro piccolo mondo antico in cui tutto va bene. E invece, c’è chi sceglie di essere Neandethal, condannandosi all’estinzione, e ci sarà chi invece sceglie di essere Sapiens, e impara ad essere parte del nuovo mondo. Amen