care leavers, giovani

Care leavers. Il limite del collocamento mirato a 21 anni è iniquo. Ma è legittimo?

Come ho riepilogato in un altro articolo, il DL 34/20 all’articolo 67-bis prevede che “la quota di riserva di cui all’articolo  18,  comma  2,  della legge 12 marzo 1999, n. 68, è attribuita anche in favore  di  coloro che, al compimento della maggiore età, vivono fuori  della  famiglia di  origine   sulla   base   di   un   provvedimento   dell’autorità giudiziaria”. La legge non fa riferimento a limiti di età per l’iscrizione al collocamento mirato, e per come è scritta la norma sembrerebbe che il requisito debba intendersi come permanente (come è permanente il requisito di altre categorie ex articolo 18).

E invece no. La Circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha dettato le modalità di iscrizione ha deciso che la condizione di care leaver ai fini dell’iscrizione al collocamento mirato negli elenchi di cui all’articolo 18 si perde a 21 anni e si mantiene (sempre che ci si sia iscritti per tempo) fino al perdurare dello stato di disoccupazione.

Questa scelta operativa è fondata sulla valutazione per cui la condizione di care leaver “si concretizza in un disagio sociale temporaneo di
persona che non ha alle spalle una famiglia che possa sostenerla nell’inserimento lavorativo e sociale”. Essendo un problema temporaneo (?!?) il Minsitero ha ritenuto di fissare a 21 anni il termine del beneficio (termine in cui al Ministero ritengono finisca la temporaneità) legandola in maniera che appare alquanto arbitraria alla sperimentazione nazionale care leavers che (questa si) è limitata alla fascia di età 18-21.

Che la condizione di care leavers sia “un disagio temporaneo” (come ritengono ai Ministero del lavoro e delle politiche sociali) è in verità tutto da dimostrare. Anche se questi ragazzi manifestano una certa resilienza con il passare del tempo, una parte dello svantaggio iniziale permane nel corso del resto della vita. Ma che tale presunta temporaneità si possa considerare terminata a 21 anni è ridicolo.

I 21 anni sono un’età troppo bassa anche se la si compara a livello internazionale (buona parte dei paesi occidentali che hanno normative ad hoc prevedono età di uscita da programmi successive ai 21 anni) ma si risolve in una beffa se si guarda alla specificità italiana. Dai ragazzi che sono stati collocati fuori famiglia ci si attende che siano in grado di provvedere a loro stessi mentre i loro coetanei restano in stragrande maggioranza nel nucleo familiare di origine ben oltre i 30 anni. Gli uni, i care leavers (quelli che hanno maggiori fragilità familiari, e che semmai sono stati allontanati dal nucleo di origine “per il loro bene”, a causa di nuclei familiari inidonei) devono diventare grandi a 18 o 21 anni. Gli altri restano a casa oltre i 30. Qualcosa non torna.

Ma oltre che ingiusta, ci si chiede se sia legittimo che una circolare ministeriale restringa in maniera così prepotente ai 21 anni il requisito del collocamento mirato, sulla base di una valutazione non dimostrata di temporaneità, agganciando ad una misura sperimentale di promozione di percorsi di autonomia il requisito connesso con il collocamento mirato. Ci saranno giuristi in grado di argomentare in proposito meglio di me. A me resta solo da sollevare il dubbio che una circolare di una Direzione generale del Ministero possa comprimere in maniera così corposa un diritto che il legislatore non aveva limitato temporalmente, non avendo fissato un limite di età, come invece lo stesso legislatore ha fatto per la sperimentazione nazionale.

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *