Quando compiono 18 anni (o al massimo 21) i giovani cresciuti fuori famiglia (in affido familiare, o in comunità, o nel circuito penale) devono improvvisamente diventare adulti e cavarsela da soli.
Mentre i loro coetanei scelgono di vivere sempre più a lungo a casa, a questi giovani viene richiesto di diventare rapidamente e completamente autonomi e di trovare una casa e un lavoro, talvolta senza aver ancora terminato la scuola secondaria.
I giovani che sono vissuti fuori famiglia (che prendono il nome di care leavers) sono riconosciuti da una ampia letteratura internazionale come gruppo vulnerabile. Numerose ricerche mostrano che questi giovani provano una sensazione di instabilità, impotenza, impreparazione, abbandono e sfiducia. Rispetto ai loro coetanei, essi hanno maggiori probabilità di finire in carcere, di avere gravidanze in giovanissima età, di sperimentare esclusione sociale o problemi di salute mentale.
Sul piano dell’istruzione e del lavoro, essi hanno meno probabilità di completare gli studi superiori o di accedere all’università e di avere un lavoro rispetto ai loro coetanei che hanno una famiglia che si prende cura di loro.
Sebbene il problema sia noto da decenni, in Italia le prime leggi per i giovani che lasciano l’assistenza risalgono al 2017 e solo nel mese di luglio 2020 è stata istituita la prima vera struttura che agevola l’accesso al lavoro dei care leavers.
Si tratta di una normativa pressoché sconosciuta. Come ricercatore e operatore di collocamento mirato, parte della mia attività si concentra sull’accesso al lavoro dei care leavers. Ho scelto di concentrarmi sui care leavers perché ritengo ingiusto che le legislazioni prevedano l’allontanamento dei bambini e ragazzi dalle famiglie laddove necessario, ma che le Istituzioni non si facciano adeguatamente carico dei ragazzi durante e dopo la loro esperienza fuori famiglia.
I risultati negativi nella vita adulta che essi sperimentano sono la spia di un fallimento del sistema sociale ed educativo che non possiamo, permetterci