Passato ferragosto, è ricominciata la tiritera secondo la quale nel prossimo anno scolastico l’apertura dei nidi sarebbe a rischio a causa della mancata proroga del termine perentorio scaduto lo scorso 6 agosto e contenuto nella legge 55 del 2024. Oggi, per esempio, è stato pubblicato il comunicato di una associazione operante nello 0 -6 che lamenta problemi a garantire la continuità dei servizi e in cui si chiede un tavolo tecnico, per quanto non si spieghi bene in cosa consista questa minaccia alla continuità dell’operato dei servizi d nido
Non si capisce dove sia il problema della continuità, dato che in primo luogo, tutti coloro che avevano diritto ad esercitare la professione di educatore nei servizi educativi dell’infanzia hanno avuto la possibilità di iscriversi in albo. Pertanto, se un diplomato con liceo socio-psico-pedagogico operava (legittimamente) in un nido privato questi ha avuto la possibilità di iscriversi in albo e potrà continuare ad operare. Chi come il sottoscritto ha seguito la vicenda in via diretta sa che tra coloro che si sono iscritti in prima applicazione ci sono molte persone che non operavano nei nidi e hanno beneficiato – piaccia o meno – dell’opportunità offerta dalla norma per come è stata voluta dal legislatore. Si sono iscritti in albo (e ne avevano il diritto) non soltanto coloro che stavano esercitando la professione di educatore nei nidi, ma anche coloro che non la stavano esercitando ma che avevano un titolo di studio che consentiva loro (in potenza) di esercitare. Aggiungo che tutti sanno che l’Apei si è espressa in maniera nettamente contrario alla proroga dei termini, cosa che invece hanno caldeggiato altre associazioni, cosa che a chi scrive appare incomprensibile.
In secondo luogo, è ampiamente argomentabile che per esercitare nei nidi dall’entrata in vigore della legge ordinistica non è più necessario il requisito dell’indirizzo infanzia. Lo ho spiegato in questo articolo e ho mostrato in questo altro articolo che la mia interpretazione comincia ad essere acquisita anche nelle normative regionali (la prima a dichiararlo è la Regione Calabria). Tra l’altro, il venir meno dell’indirizzo infanzia era tra le proposte dell’Anci che solo il 13 dicembre scorso aveva inviato un allegato tecnico ai ministri Valditara e Bernini. Come se non bastasse, il venir meno dell’indirizzo infanzia – se l’interpretazione seguita dalla Regione Calabria è corretta – ha consentito di liberare per il mercato del lavoro dei nidi 31.769 laureati che non potevano essere in possesso dell’indirizzo per motivi connessi all’ordinamento. Il dato è contenuto in un documento tecnico (scaricabile da qui) a firma del Coordinamento nazionale dei corsi di laurea per educatore professionale (Conclep) e Cunsf (Conferenza universitaria nazionale di scienze della formazione).
In terzo luogo, un recentissimo intervento normativo del Parlamento ha reso chiaro in via definitiva che i titoli per educatore nei nidi e presenti nelle normative regionali sono validi se conseguiti entro il 15 giugno 2020 (anno accademico e scolastico 2018-2019) e non se conseguiti entro il 30 maggio 2017 (data di entrata in vigore del D.Lgs 65/2017). Pertanto, coloro che operavano nei nidi (o auspicavano ad operarvi) ed avendo diplomi o lauree conseguiti prima del 15 giugno 2020 hanno la certezza di entrare in albo.
Ultimo in ordine temporale, è la circolare dei Ministri Nordio e Zangrillo, che ha ribadito (ne ho parlato qui) che le regole di accesso alle supplenze nei nidi a gestione diretta comunale concorsi pubblici, che prevedono la laurea per l’inquadramento come educatore entrano in vigore con alcuni anni di ritardo.
Ora, chi vive questo mondo sa che le imprese e le organizzazioni datoriali non sono tutte uguali. Ci sono tantissime imprese serie e ci sono organizzazioni datoriali serie. Si tratta di imprese che rispettano le leggi e rispettano i contratti. Queste imprese hanno sofferto della concorrenza sleale da parte di coloro che assumevano in maniera illegittima sul piano del contratto e dei titoli di studio. Qui in Campania questo fenomeno è molto diffuso, e un educatore di nido viene pagato anche 500, 600 o 700 euro per 40 o 50 ore settimanali. Dalle organizzazioni datoriali serie mi aspetterei che spingessero piuttosto per la piana attuazione dell’albo, perché da un lato non consentirà a chi ha fatto di testa propria di continuare su quella strada e dall’altro perché – per i meccanismi che ho spiegato sopra – beneficeranno dell’ampliamento della platea di coloro che potranno accedere al lavoro nei nidi. Nella fase transitoria in cui ci troviamo c’è la legge e non ci sono (ancora) gli albi. Semmai – se proprio dovesse esservene la preoccupazione – basterebbe che chiedessero un intervento interpretativo da parte del Ministero che dichiarasse che in attesa di vedersi riconosciuta l’iscrizione in albo (per la quale occorre un tempo tecnico) possono operare nei nidi coloro che hanno fatto domanda ai Commissari entro il 6 agosto 2024.
D’altro canto, ci sono pure le imprese e le associazioni datoriali di peracottari: quelle che cercano di sfuggire alle norme e di trovare scappatoie e deroghe. Questi per continuare a lamentare la difficoltà di apertura a settembre dovrebbero almeno dichiarare con onestà intellettuale che la minaccia alla continuità della loro attività di impresa non è l’introduzione dell’albo, ma il fatto che loro non hanno mai applicato la normativa vigente dal 2017 che prevedeva la laurea, ferma restando la salvaguardia del diritto a lavorare per coloro che avevano conseguito titoli che erano validi antecedentemente nelle normative regionale.
Il problema vero che si legge in trasparenza è che evidentemente un dirigente pubblico difficilmente potrà continuare a pagare un nido in convenzione se non assume il personale giusto (pena la contestazione del danno erariale). La sensazione è che finora l’applicazione della normativa professionale contenuta nell’articolo 13 del D.Lgs 65 non sia stata proprio granitica e che in fondo alcuni richiedano non tanto la proroga della prima applicazione quanto la proroga della disapplicazione della normativa.