assistenti all'autonomia, educatori, educatori professionali

Ddl S.236 Bucalo, perchè la stabilizzazione non si può (ancora) fare

Con i servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione il legislatore ha fatto il contrario di quello che sarebbe il suo compito. Il compito del legislatore sarebbe di quello di anticipare e governare i fenomeni sociali, mentre con i servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione ha lasciato che il caos prendesse forma. Ciò non è mai buono. Il risultato sono servizi regolamentati in maniera difforme su base regionale e (persino) su base comunale o di singola istituzione scolastica con finalità diverse, profili organizzativi diversi, titoli di accesso diversi, e finanziamenti molto difformi.
Si, il finanziamento è una parte importante del problema, perchè lo Stato contribuisce con un fondo di 200 milioni che risultano ampiamente insufficienti, ai quali le regioni e i comuni, come per tutti gli altri servizi sociali contribuiscono a loro volta con quote aggiuntive senza però che il finanziamento complessivo risulti adeguato.

Questo assetto organizzativo produce una scarsissima qualità media del servizio. In alcune regioni per esempio, la laurea in scienze dell’educazione e la qualifica connessa di educatore professionale socio-pedagogico, che costituiscono requisito obbligatorio per ogni attività professionale educativa nei servizi non sono nemmeno requisito di accesso all’attività di operatore nei servizi di assistenza alla comunicazione. Sei laureato? Non puoi operare. Sei diplomato e hai un corso da 600 ore? Prego, I need you.
L’Apei aveva edito nel 2019 una proposta politica in proposito nel mio volume “Educatori nei servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione. Una proposta di definizione dei profili” che è scaricabile dal link.

In questo quadro il ddl Bucalo, invece di mettere mano all’organizzazione dei servizi, propone di assumere a tempo indeterminato tutti coloro che hanno erogato questi servizi per almeno 36 mesi e che abbiano un diploma. Sei ragioniere? Ragioniamoci, ti assumiamo a tempo indeterminato nel Ministero dell’Istruzione e del merito come Assistente all’autonomia e alla comunicazione. Sei geometra, architetto? Architettiamo l’inserimento a tempo indeterminato nel neocostituito profilo di assistente.

La stabilizzazione avverrebbe senza verificare nemmeno se quel servizio è stato svolto in maniera lecita (ossia, conforme alle pur lasche normative regionali) o meno. Senza una possibilità vera di verifica sulle autocertificazioni, perché potrebbero certificare il servizio soltanto le cooperative sociali e non gli enti pubblici (le scuole) presso cui il richiedente dice di aver operato. Senza una visione strategico – organizzativa del servizio: cosa fanno gli operatori dei servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione? Quale rapporto con le altre professioni dell’inclusione? Niente di niente. Stabilizzate, purché si stabilizzi.

Ora, personalmente sarei felicissimo se il Governo ritenesse di poter reperire il miliardo e mezzo aggiuntivo di risorse necessarie per garantire decentemente il servizio si assistenza all’autonomia e alla comunicazione in tutte le scuole di Italia. Ma se ritiene di fare questo deve prima regolamentare il servizio e poi assumere il personale. Stabilizzare senza regolamentare, acquisendo personale in larga misura senza i requisiti di laurea giusti produce un servizio costoso e di scarsa qualità.

L’internalizzazione del servizi ha senso, e sarebbe una cosa buona. E sarebbe anche migliore un poderoso investimento aggiuntivo.

Se però internalizzazione deve essere è necessario che prima il servizio venga regolamentato. Il D.Lgs 66/2017 e il D.Lgs. 96/2018 avevano previsto una precisa delega ad un accordo di Confferenza Stato – Regioni il primo e di Conferenza unificata il secondo che avrebbe dovuto definire i requisiti organizzativi e i profili del personale del servizio di assistenza all’autonomia e alla comunicazione. Prima di stabilizzare si eserciti questa delega e si definiscano i requisiti del servizio e dei professionisti. Se si stabilizza prima si stabilizzerà il caos attuale.

Si dia seguito immediatamente alla delega e si introducano una regolamentazione nazionale del servizio che – si badi – è un Lep, ossia un Livello essenziale delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini con i medesimi requisiti in ogni parte d’Italia, indipendentemente dal fatto che ci sia un dirigente o un assessore intelligente o sensibili in quel determinato istituto scolastico, regione o comune.

La delega dovrebbe prevedere:

  • le definizioni nazionali di quali siano i compiti concreti che gli operatori dei servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione devono mettere in atto nei servizi. Ad esempio, è necessario definire i compiti reciproci del personale del servizio di assistenza all’autonomia, dei collaboratori scolastici incaricati dell’assistenza igienica e degli insegnanti, e fra di loro quelli incaricati su posto di sostegno. Nella prassi concreta si ritrovano esperienze molto diverse. In alcuni contesti il personale di assistenza all’autonomia e alla comunicazione si trova a svolgere compiti di assistenza materiale, in altri di supporto alla didattica e di sostituzione dell’insegnante incaricato su sostegno, che nelle prassi concrete meno evolute e alquanto diffuse è l’unico referente dell’inclusione scolastica;
  • linee guida chiare ed esigibili nella definizione dei criteri di attribuzione delle ore di assistenza da parte delle Asl;
  • la definizione dei requisiti di accesso alla professione. In questo quadro, ogni regione norma in maniera difforme dalle altre. In proposito appare utile evidenziare che, dal momento che il profilo di cui si tratta è evidentemente educativo, tale difforme produzione normativa è chiaramente illegittima in quanto il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni prevede che la materia professioni sia disciplinata come concorrente. Ciò significa che lo Stato deve definire i criteri generali, e le Regioni  la normativa di dettaglio. Ora, nell’ordinamento dello Stato esiste la figura dell’educatore  professionale socio-pedagogico, che ha i compiti di operare “nell’ambito educativo, formativo e pedagogico, in rapporto a qualsiasi attività svolta in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, in una prospettiva di crescita personale e sociale, […] nei servizi e nei presidi socio-educativi e socio-assistenziali, nei confronti di persone di ogni eta’, prioritariamente nei seguenti ambiti: educativo e formativo; scolastico […]” (qui il testo completo della norma). Nel nostro ordinamento infatti esiste già la professione di educatore professionale socio-pedagogico, e già attualmente non si capisce come le Regioni non abbiano potuto adeguare le proprie normative all’ordinamento dello Stato. Infatti, come non è possibile definire negli accreditamenti e nei cataloghi formativi regionali delle definizioni con compiti psicologici o coincidenti con quelli dell’assistente sociale, non è legittimo che vengano introdotte qualifiche come gli “assistenti all’autonomia e alla comunicazione” che si ritrovano nei cataloghi formativi regionali, e allo stesso modo non è legittimo che nei descrittori degli accreditamenti siano previste figure educative diverse dell’educatore professionale socio-pedagogico.
    Che si tratti di servizi educativi è un fatto riconosciuto da tutti. Ad esempio in un documento unitario di Cgil – Cisl e Uil del 2020 (qui per scaricarlo) si proponeva alla Conferenza unificata di ricondurre all’educatore professionale socio-pedagogico i servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione.
  • mancano delle indicazioni normative concrete sugli aspetti organizzativi del servizio. In assenza di una norma che legittimi quale è il compito dell’educatore nei servizi di assistenza all’autonomia e alla comunicazione questi non viene pagato se quel giorno il bambino o ragazzo con disabilità non va a scuola, e i costi e i tempi degli spostamenti non vengono retribuiti nè minimizzati, in quanto viene ad essere attuata una dispersione del servizio, e sulla stessa scuola può capitare che operino molti operatori, talvolta afferenti ad enti gestori diversi. In proposito, difficilmente appare possibile che il servizio di assistenza all’autonomia e alla comunicazione possa essere voucherizzato, come accade in molti contesti

Una volta definiti questi aspetti sarà un’ottima idea procedere all’internalizzazione del serivzio nei ruoli del personale scolastico, magari anche stabilizzando gli operatori che siano in possesso di requisiti minimi (che difficilmente però possono essere il diploma di scuola secondaria superiore, come previsto da ddl in discussione al Senato)

Articoli correlati

1 thoughts on “Ddl S.236 Bucalo, perchè la stabilizzazione non si può (ancora) fare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *