ordine professionale

Perchè un albo delle professioni educative è una risposta (anche) alla carenza di educatori

Un cuore, nel quale la parola "impossibile" si modifica in "possibile"

Su tutti i media le organizzazioni delle imprese sociali lamentano di non riuscire a trovare gli educatori. E non c’è motivo per non credergli: di sicuro gli educatori stanno diventando più ricercati sul mercato del lavoro.

Se chiedete in giro, di fronte a questo – che è sicuramente un problema – vengono prospettate due ordini di risposte. La risposta di alcuni è di introdurre nuove sanatorie, ad esempio riaprendo la sanatoria che ha consentito di conseguire ad alcune decine di migliaia di persone la qualifica professionale di educatore professionale socio-pedagogico attraverso i 60 Cfu o la sanatoria per educatore di infanzia per i titoli antecedenti all’entrata in vigore del D.Lgs. 65/2017. La soluzione prospettata da altri ancora più creativi è di distinguere le figure educative, in una professione con laurea ed una priva di laurea, creando una specie di sottoeducatore diplomato che non abbia la denominazione ma svolga funzioni di tipo educativo. Soluzione su cui peraltro si è già espressa la giurisprudenza amministrativa, come ho raccontato in questo articolo.

Gli educatori mancano sul mercato del lavoro. Ok, ne prendiamo atto. Eppure, ogni anno le nostre università laureano più di 10.000 educatori, e il numero di laureati cresce ogni anno. Ad esempio, nelle sole due classi di laurea triennale (classe 18 e L-19) si erano laureati nel 2012 più di 8600 persone, mentre nel 2021 se ne sono laureate oltre 12.000: il numero di laureati per anno nel decennio è cresciuto quasi di un 50%. Persino l’incidenza dei laureati in scienze dell’educazione sul totale dei laureati è cresciuta considerevole negli ultimi dieci anni, passando da 2,85% al 3,35% del totale dei laureati. E questi dati non tengono conto del fatto che in mezzo c’è stata pure la sanatoria dei 60 Cfu, che ha portato sul mercato del lavoro tra i 30.000 e i 50.000 nuovi educatori (qui: quanti sono i laureati in scienze dell’educazione?).

Questi più di 12.000 laureati l’anno sarebbero ampiamente in grado di colmare l’esigenza di turnover. Per quanti possano essere gli educatori in servizio in Italia, anche in considerazione della loro composizione demografica, quelli che vanno in pensione ogni anno solo sicuramente meno di 3.000 – 4.000 pensionamenti l’anno.

Insomma, gli educatori mancano sul mercato del lavoro, ma non mancano nella platea dei laureati.

Evidentemente perchè quei 12.000 laureati non entrano nel mercato del lavoro degli educatori perchè decidono di fare altro o decidono di non cercare più lavoro.

Ora, lamentarsi dell’assenza degli educatori dal mercato del lavoro senza entrare nel merito delle condizioni di lavoro equivale a guardare il dito e non la luna.

Chi fosse disposto a guardare la luna dovrebbe ammettere che il mercato del lavoro degli educatori è pessimo. E’ pessimo per la convergenza di diversi fattori

  1. Le retribuzioni reali sono più basse di quelle delle analoghe professioni cui si accede con laurea nel sociale e nel socio-sanitario. Ma non basta. In ampia parte del Paese si evidenzia una enorme presenza di part time “forzati”: chi lavora in educativa domiciliare o in educativa scolastica lavora rarissimamente full time, e se pure ci arrivasse combinando servizi al mattino e servizi al pomeriggio lo farebbe con giornate che cominciano alle 8 e terminano alle 18.00 piene di ore buca. Per non parlare della sistematica disapplicazione dei contratti, da parte una pletora di soggetti, perlopiù formalmente di terzo settore (associazioni e cooperativa), ma spessissimo che usano lo strumento giuridico senza averne la vera natura di ente di terzo settore. Dalle mie parti un educatore di nido che guadagna 500 euro al mese è la media.
  2. Anche coloro che lavorano full time, lo fanno in condizioni di precarietà esistenziale e lavorativa non sostenibili, per cui appena possibile fuggono altrove.

Il risultato è che le persone scappano. Scappano verso l’insegnamento, scappano verso altri lavori, tipo la cassiera al supermercato (lasciatemelo declinare al femminile, perchè questo mondo è tutto femminile). In molti casi nel giro di pochi anni smettono di stare sul mercato del lavoro e si dedicano ai figli o agli anziani, perchè la componente di genere di una professione femminile al 92% pesa, in un paese in cui l’occupazione femminile è quella che conosciamo, e in cui i carichi di cura pesano così significativamente sulle donne (Per l’indagine sulle retribuzioni vi rimando a questo documento).

Cosa c’entra in questo l’istituzione dell’ordine? Questa situazione insostenibile è il frutto della convergenza di diversi fattori. Alcuni riguardano il mondo del lavoro e l’economia. Ad esempio: l’insufficiente investimento nei servizi da parte dell’ente pubblico, i pagamenti vergognosamente intempestivi da parte degli enti locali alle cooperative, l’assenza di verifiche di alcun tipo da parte degli enti locali sulle condizioni di assunzione.

Ci sono, cioè, fatti esogeni alla professione. Ma questa crisi delle retribuzioni (e crisi degli educatori) è dovuta anche a molti fattori che riguardano la regolamentazione della professione, sui quali l’ordine come elemento regolatore gioverebbe tantissimo. Ne dico due tra tutte:

  • Un primo elemento riguarda le attività tipiche degli educatori, in un contesto in cui sono presenti ordini che regolamentano tutte le professioni attigue. Gli educatori operano nei servizi sociali soltanto in mezzo a professioni ordinistiche. Ora, gli ordini professionali attigui (psicologi, tsrm pstrp) producono una costante fibrillazione della professione. Il Tsrm che ha più volte argomentato che gli educatori esistono ma non possono operare (es.: la vicenda della circolare 87 e 87 bis, o il ricorso pendente al Consiglio di Stato per l’annullamento del decreto in attuazione del 33.bis) O ancora, la reazione scomposta dell’ordine degli psicologi quando fu approvata la legge 205 sugli educatori (qualche cenno qui).
    C’è un altro dato. Lo stesso mercato del lavoro delle professioni sociali, proprio perchè gli educatori sono l’unica professione non ordinistica riserva le sacche di sfruttamento lavorativo proprio agli educatori. E’ un caso che tra infermieri, educatori sanitari, logopedisti, professioni sanitarie professioni sanitarie varie, assistenti sociali, psicologi, quelli più sfruttati sono proprio gli educatori e i pedagogisti?
    Signori legislatori. O abolite gli ordini professionali attigui (personalmente preferirei questa strada) o istituite l’ordine delle professioni educative. Tertium non datur.
  • Secondo, gli enti pubblici continuano a normare in maniera fantasiosa, attribuendo funzioni educative a persone prive del titolo (ad esempio, è accaduto di recente ìn Regione Friuli – Venezia Giulia e della Lombardia; molte regioni non si sono nemmeno accorte della L.205/2017 o del Dlgs 65/2017). Questo perchè laddove l’unico stakeholder sono le imprese, capita che queste ogni tanto cedono al richiamo della foresta di ampliare la platea di disperati piuttosto che di pagare gli operatori decentemente. Sarebbe diverso se la professione avesse uno stakeholders con 200.000 iscritti (con la credibilità di istituzione della Repubblica) piuttosto che 7 associazioni da (in tutto) 5.000 iscritti che concorre e ad definire il quadro delle normative regionali che definiscono le professioni educative.

Mi rendo conto che può essere controintuitivo. Ma anche le imprese (nel nostro caso, gli enti di terzo settore e gli enti della sanità convenzionata) dovrebbero porsi in questa ottica e guardare all’albo professionale per quello che è: una grande opportunità di riordino dell’intero sistema dei servizi sociali, sociosanitari ed educativi. Promuovere una regolamentazione che consenta un processo di definizione professionale è una soluzione (non l’unica, certo) al problema del mancato reperimento degli educatori sul mercato del lavoro.

Il legislatore ne prenda immediatamente atto, perchè questa condizione non è sostenibile ancora a lungo.

Per gli aggiornamenti sull’ordine e sull’albo segui questo link segui questo link

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4 thoughts on “Perchè un albo delle professioni educative è una risposta (anche) alla carenza di educatori

  1. L’ APEI, nasce come progetto nazionale per la creazione di una forte organizzazione professionale, legata ai bisogni educativi del territorio, con un coerente Codice Deontologico, una specifica formazione universitaria, con una propria autonomia scientifica e responsabilità deontologica nei confronti dell’utenza, con formazione e aggiornamento continuo e obbligatorio. Questo progetto si chiama Multi Albo delle Professioni Educative e Pedagogiche.

  2. Suellen ha detto:

    Profondamente d’accordo, siamo in molti Educatori Socio Pedagogici sul campo ma come ben si intende la proposta lavorativa spesso è così vergognosa e confusa che alla fine se si rimedia su altro lavoro ( molto meno impegnativo mentalmente, emotivamente e deontologicamente) ecco che paradossalmente un laureato nelle scienze dell’educazione riesce a vivere molto meglio. Occorre arginare lo straripamento sociale, ricomporre un sistema obsoleto e riprendere le redini di una seria Educazione, per questo un albo potrebbe essere davvero di grande aiuto.

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